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The show must go on

Summary:

Quasi un anno dopo la conclusione del Caso, Yu Narukami si sveglia sul treno il giorno in cui inizia la sua avventura a Inaba.
È stato riportato indietro nel tempo. Non sa cosa è successo, non sa perché, sa solo che nessuno si ricorda di lui. I suoi Social Link sono azzerati.
Non gli resta che ricostruire i suoi rapporti e svelare il mistero che lo ha riportato a Inaba nel 2011, assieme all'unica persona che si ricorda di lui.
Peccato che quella persona si chiami Tohru Adachi.

Chapter 1: New Game +

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Adachi

Era sempre più difficile.

Si rigirò nella branda e strinse i denti, gli occhi socchiusi. Il braccio sotto al cuscino avrebbe presto cominciato a formicolare, e ben prima che la sua mano destra fosse riuscita a farglielo rizzare del tutto.

Se lo strinse e mosse la mano nella parodia di una pompata. Un cellulare che gli vibrava in tasca gli avrebbe dato più brividi. Chiuse gli occhi. Carni bianche. Carni bianche e morbide, cosce in cui affondare le mani, o seni da stringere tutti nel palmo, capezzoli turgidi che scivolavano fra le sue nocche. Gemiti acuti. La scena di un porno con una donna mezza sdraiata, una gamba tenuta alzata da una mano - la sua mano- e un cazzo che le affondava nella figa sfondata. C’era la musica di sottofondo, altrimenti avrebbe sentito il rumore di quella fregna flaccida di abusi.

Non poteva immaginare il rumore.

Non ricordava la misura delle tette. Le tette erano multiformi, ora grandi ora piccole ora offuscate. Non ricordava la sua voce.

Da ragazzo si masturbava moltissimo sulle fantasie, pure fantasie sulle sue compagne di classe, poi aveva scoperto i porno e adesso non era in grado di immaginare nulla.

Ma in carcere i porno non c’erano. In carcere non c’erano computer, non c’era la televisione nella sua cella, i canali per adulti non esistevano. Non esisteva neanche masturbarsi apertamente. No, accoccolato su un fianco, muto, una mano che si muoveva in modo che il braccio non facesse vibrare le lenzuola rendendo ovvio quello che stava succedendo.

Non che essere scoperto facendo la cosa più naturale del mondo fosse il suo problema.

Esisteva solo lui, il suo cazzo mezzo flaccido e la totale assenza di fantasia. No, c’era anche dell’altro.

Si leccò le labbra. impugnava la pistola, faceva scorrere la canna lungo la guancia di lei, la premeva finché non sentiva la mandibola cedere e abbassarsi e allora sprofondava nella sua bocca, era bello, la mano andò più veloce.  lei tremava, i denti cozzavano col ferro, sangue e Mayumi appesa all’antenna con gli occhi vuoti e la lingua gonfia.

Aprì la mano. Ogni volta che la sua mente vagava verso qualcosa di fresco e perverso, qualcosa che potesse fargli provare un nuovo brivido, le facce di Mayumi Yamano e Saki Konishi morte tornavano a tormentarlo. Era la loro vendetta. Non potrai più farti seghe senza i porno, Adachi. Senza il diretto stimolo visivo aveva bisogno di qualcosa che lo coinvolgesse o la sua mente perdeva concentrazione. Violenza, sangue, coercizione - solo ciò che era perverso,

E quelle due maledette lo interrompevano senza il minimo rispetto.

Strinse di nuovo gli occhi, una vena sporgeva dalla tempia e si pressava contro il cuscino duro. Non importava quanto se le figurasse diverse da loro, prima o poi i corpi delle sue amanti immaginarie diventavano morti e pendenti da un’antenna. Una muta accusa. Tu hai fatto questo.

Se lo strinse di nuovo. Percorse con gli occhi dell’immaginazione quelle cosce bianche, dita maschili che affondavano nella morbidezza delle carni. La rivoltò e premette il bacino contro il suo culo, il cazzo che si infilava in mezzo alle natiche. Aveva sempre avuto una cosa, per il sesso anale- non lo aveva mai fatto, non glielo avevano mai permesso, erano delle stronze e ora si stava distraendo ancora . No, no, no. Afferrò dei seni minuscoli, li strizzò, i seni ora non c’erano, era un petto piatto. Un ragazzo, un ragazzo giovane con ancora qualche rotondità dell’infanzia. Il suo cazzo pulsò nella mano e soffocò un ansimo sul cuscino. Affondava nel culo aperto di un ragazzo che aveva le lacrime agli occhi dall’umiliazione e le pupille dilatate di voglia, occhi grigi come quelli di- come quelli di- e se e se e se

Yu reclinava la testa, le sue labbra si aprivano in un gemito bisognoso, il sudore colava in rivoli accanto alle orecchie, gli afferrò quei fianchi duri e sprofondò dentro di lui. Le sue natiche erano morbidissime contro il suo pube, Gesù aveva solo sedici anni solo sedici anni  era così giovane, pulito, innocente e voleva che gli spaccasse il culo

Spalancò gli occhi. Era così duro che gli aderiva al ventre, caldissimo e quasi vibrante.

Sospirò e premette la faccia contro il cuscino. Lo accarezzò e lo strinse, immaginando come avrebbe mugolato Yu fra le sue mani. Era schifoso e perverso e intossicante. Era così tanto duro.

Voleva le tette. Strizzava quei piccoli capezzoli, Yu piagnucolava . Voleva capelli lunghi. Gli afferrò quella frangia troppo lunga, i suoi occhi erano liquidi e le sue guance rosse di vergogna. Voleva fianchi arrotondati, morbidi dio quanto era ossuto. Non inseguiva la fantasia, ora era la fantasia a dare la caccia a lui.

 

***

 ???

Il ticchettare dell’orologio si mescolava a quello della pioggia contro il vetro. Pioveva sempre, in quel posto. Era tutto così noioso .

Il Giocatore si sollevò dal divano. La tv non trasmetteva più nulla da mesi, il suo Gioco preferito era terminato, e quel Gioco era tutta la programmazione concessagli.

Aveva pensato che, terminato il Gioco, lui avrebbe cessato di esistere. Aveva fatto tutte le scelte più razionali, aveva trepidato quando erano arrivati i titoli di coda, si era guardato le mani aspettandosi di diventare trasparente, o di sgretolarsi come sabbia, joystick che cadeva sul tappeto.

Non era successo niente. La tv si era oscurata, e lui era là.

Gettò uno sguardo alle sue action figures. La idol aveva lo sguardo un po’ opaco, probabilmente avrebbe dovuto spolverarla, o forse, ancora meglio, ripassare il colore e renderlo più brillante. Per una personalità così spumeggiante era il minimo.

Si sollevò in piedi e allungò la mano verso le boccette di colore sul suo tavolino.

Tic-tac.

Tic-tac.

Il suo orologio non era mai stato così perentorio, da quando aveva cominciato a piovere. Si immobilizzò, la mano ancora tesa. La pioggia che per mesi e mesi aveva frustato il vetro della finestra si era interrotta.

La tv emanò un tenue bagliore, poi un lampo.

Apparve una nitida schermata gialla con su delle opzioni in nero.

Una fitta nebbia si sollevò sulle strade. Anche se dava le spalle alla finestra, sapeva che stava succedendo.

Il Giocatore sorrise. Prese il telecomando.

 

> New Game +

 

***

Yu

Il suo letto vibrava. Mosse il collo per tirarsi su e la testa crollò in avanti;  una scarica di dolore gli percorse la colonna vertebrale. Sibilò. Tirò su la testa e la sua mano andò in automatico a tenersi la nuca. Provò ad aprire gli occhi e lacrimò per la gran luce. Si era addormentato davanti alla tv accesa? Battè le palpebre e si asciugò un occhio con una nocca. Aprì gli occhi. Un muretto scorreva al di là del vetro, sormontato da cime di alberi. Più in lontananza, edifici. Tremava tutto perché era su un treno.

Battè di nuovo le palpebre e guardò davanti a sé. Un uomo stava leggendo un giornale con su la foto di una donna famigliare, sicuramente un- era Misuzu Hiiragi. E accanto a lei c’era Taro Namatame. Avrebbe dovuto comprare un giornale, se i giornalisti parlavano di nuovo di loro voleva dire che c’erano state novità sul processo. Sperava che lo avessero assolto.

Finalmente il muretto si interruppe e potè vedere la città. Il suo stomaco si contorse. Non era Tokyo.

Alzò lo sguardo ed esaminò il treno. Quello non era il treno cittadino che prendeva per andare a scuola. Il sangue gli defluì dal viso, il rombo del sangue si mescolava a quello del treno. Aveva concluso di essersi semplicemente addormentato andando a scuola, ma… la borsa che aveva ai piedi era quella che usava per viaggiare.

“Fra cinque minuti giungeremo alla stazione di Yaso Inaba” comunicò una voce registrata.

Stava andando a Inaba.

Stava andando a Inaba e non solo non ricordava di aver mai preso il treno, ma nemmeno di aver fatto il biglietto o programmato una visita.

Era un vuoto di memoria spaventoso e senza precedenti.

Reclinò la schiena in avanti e si premette gli indici e i medi sulle tempie. Sbirciò il passeggero sul sedile davanti. Aveva ripiegato il giornale e lo aveva posato sul sedile accanto al proprio, ora stava usando il cellulare e non faceva il minimo caso a lui.

Poteva essere qualcosa di molto grave o qualcosa di molto stupido. Forse aveva esagerato con lo studio. Forse aveva battuto la testa, anche se non sentiva alcun dolore a parte quello al collo. Era sicuramente lo studio. Gli esami per entrare all’università di Tokyo erano impossibili, anche col suo livello non poteva fare a meno di frequentare un doposcuola e di passare molte notti sui libri.

Se stava andando a Inaba avrebbe chiesto a suo zio di portarlo dal medico, ma anche lui avrebbe convenuto che era per quello.

Prese il cellulare e sorrise. I messaggi che si era scambiato coi suoi amici gli avrebbero dato la scossa necessaria per ritrovare la memoria, e si sarebbe sentito molto stupido per quell’attacco di panico.

Aprì l’applicazione dei messaggi. Aggrottò le sopracciglia. L’ultimo messaggio era di Dojima. “Ci vediamo di fronte alla stazione di Inaba”.

Allora aveva davvero in programma di… il sorriso si congelò sulle sue labbra. Non c’era alcuna discussione coi suoi amici. Non c’era Yosuke, con come ultimo messaggio qualcosa che riguardava le tette della nuova commessa del reparto pescheria. Non c’era Rise, con un messaggio incomprensibile pieno di stelline e di faccine ammiccanti. Non c’era Chie, con qualche incitamento in caps lock.

Aprì di nuovo la conversazione con lo zio. 11/04. Aprile? Non poteva essere aprile, era ottobre. Guardò lo schermo del cellulare. 11/04/2011.

Oh, fantastico. Doveva comprarsi un cellulare nuovo, o trovare un modo per riavviarlo. Aveva cancellato tutti i messaggi e anche… aprì la rubrica -  numeri dei suoi amici. Grandioso. Non importava, stava andando a Inaba. Qualcuno gli avrebbe telefonato e avrebbe spiegato la situazione, avrebbe riavuto tutti i numeri nel giro di un paio di giorni.

Posò la testa sullo schienale della poltroncina, un po’ irritato.

“Yaso Inaba ” annunciò la voce registrata di prima “Yaso Inaba. Vi preghiamo di scendere dalle porte a sinistra, e di fare attenzione allo spazio fra il treno e la banchina”

Si alzò in piedi e si chinò a prendere la cinghia del borsone. Il treno oscillò e si trovò a dondolare in avanti, la faccia all’altezza del giornale che il suo compagno di viaggio aveva posato sul sedile.

“SCANDALO MAYUMI YAMANO - TARO NAMATAME” urlava la testata “ Il segretario cittadino ammette di avere una relazione con la celebre gior -” una piega copriva il resto. Gli si fermò il respiro.

Che notizia era? Già si sapeva. Già si sapeva da più di un anno, e intanto Mayumi Yamano era morta. Che razza di notizia…

Strinse la cinghia del borsone e sollevò lo sguardo verso la data del giornale.

11 aprile 2011.

- Hey, ragazzo, tutto ok?- l’uomo staccò lo sguardo dal cellulare e lo sollevò su di lui per la prima volta- non è che stai per vomitare, vero?

Avrebbe potuto. Avrebbe potuto benissimo. Strinse la labbra. C’era una spiegazione. C’era sicuramente una spiegazione razionale. Il suo cellulare non funzionava a dovere e quell’uomo aveva trovato un vecchio giornale e lo aveva letto per noia. Un vecchio giornale che sembrava sorprendentemente nuovo.

Se era ottobre perché gli alberi erano verdi?

Sollevò il borsone e si affrettò verso la porta dello scompartimento, si aggrappò a ogni maniglia che pendeva dal soffitto perché le gambe non lo tradissero. Poi fu sulla banchina, i muscoli che vibravano e le ginocchia tremanti. Fece un respiro profondo.

Non poteva essere l’undici aprile del 2011.

Gli uscì una risatina. Certo che non era così. Era forse stupido?

Le gambe smisero di tremare e si avviò giù per le scale del sottopassaggio. Ora avrebbe incontrato suo zio - o forse no, forse si aspettava che arrivasse a casa da solo, in fondo era già successo. Quel messaggio era un ricordo dell’undici aprile di un anno prima, riportato in superficie dal suo stupido cellulare, quindi non vedeva perché suo zio dovesse essere lì. Magari con…

- Hey, siamo qui!

Nanako e suo zio lo aspettavano in piedi davanti alle porte della stazione. Li raggiunse, il cuore che batteva stupidamente forte. Avvolse in mano la cinghia del borsone, pronto a posarlo a terra per poter prendere al volo Nanako, che di certo gli si sarebbe slanciata fra le braccia.

Nanako non si mosse e non sorrise

- Sei molto più bello di persona che in foto- disse Dojima.

Notes:

**Warning!**

Da questo momento ripercorrerò gli avvenimenti canonici di persona 4, con delle variazioni dovute alla trama della fanfiction. Urge comunque una precisazione: Yu in questa giocata ha raggiunto il Good Ending ma non il True Ending. Ha aperto un Social Link con Adachi ma non se n’è curato troppo, è aumentato nei passaggi obbligatori del gioco e poi mai più. Non è andato a trovare Adachi la notte nel suo dungeon, da solo, quindi il suo Social Link, oltre a essere incompleto, è ancora Jester e non Lust. Ergo né lui né il Giocatore conoscono molto bene Adachi.